lunedì 21 maggio 2012

Là dove dobbiamo essere

"Gran bella fotografia, e che regia..." - pensava Francesco, di ritorno dal cinema - "Sì, ma quando si dice così è quasi sempre perchè il film ti ha fatto cagare, o comunque la storia non ti ha preso". La strada era sempre la stessa. Come ogni buon camminatore, Francesco aveva sviluppato i propri percorsi specifici che collegavano casa a tutti i punti sensibili della città, tagliando le vie principali del centro e sfruttando ogni piccola scorciatoia possibile. Quasi si emozionava quando scopriva una nuova strada e poteva sviluppare un tragitto alternativo ancora più efficace. "Ma a me, sto film è piaciuto o no? Bah, in parte..." - il grosso problema di Francesco è che non riusciva mai a bocciare un film che fosse uno, perchè in fondo ci trovava sempre qualcosa che potesse essere salvato, anche fosse solo un piccolo spunto che gli permettesse di macinare pensieri - "lei era monodimensionale, non ci credo che le femmine ragionino così. Però lui, quel conflitto tra dovere e piacere, quel debole per la carne che non riusciva a tenere a freno, nonostante tutto...". Insomma ci stava pensando sopra, e quindi gli era piaciuto, alla fine gli piacevano sempre. Faceva fresco quella notte, la primavera non ne voleva sapere di sbocciare. Sarà stato per quello, o perchè da camminatore temerario e amante della bella stagione sfoggiava già il pantalone corto d'ordinanza, o forse perchè, diciamola tutta, durante la visione del suddetto film si era scolato mezzo litro di Pepsi, che si rese conto di non riuscire più a trattenere la pipì.

Non gli piaceva pisciare per strada, ma essendo forse l'unico vero privilegio dell'essere nati maschi (quello di potersi liberamente liberare con gran comodità ovunque si volesse), fece una rapida ricognizione mentale della parte di percorso che ancora mancava, cercando di focalizzare l'angolo più adatto, e soprattutto a breve portata. Accelerò il passo. Era uno di quei momenti in cui i bisogni del corpo bypassano qualsiasi altro livello di pensiero, e diventano dominanti. Non c'era più tempo per pensare a un angolo sufficientemente riparato.
Era quasi giunto all'incrocio con il viale che correva lungo tutto il perimetro del centro storico. Senza neppure controllare se ci fosse qualcuno nelle vicinanze, si fermò lì dove il resto di un bastione delle mura medievali combatteva contro il passare del tempo. Poi gli automatismi ebbero la meglio, e si arrese a quella piacevole sensazione di svuotamento, condita da brividino finale.
Riemerse dall'apnea mentale, trovandosi a sorridere al pensiero di quante persone nel corso dei secoli si erano piazzate in quello stesso punto, calpestando la stessa terra, per espletare i propri inederogabili bisogni.

Ancora alle prese con le ultime scrollate, sentì distintamente l'avvicinarsi di una bicicletta. Anzi era ormai troppo tardi per usare la parola "avvicinarsi". Da dietro l'angolo, dove il passaggio pedonale piegava costeggiando il bastione, spuntò la bicicletta. Un lampione sulla strada alle spalle della figura in rapido avanzamento rendeva impossibile ogni tentativo di riconoscimento. In controluce, la silhouette era nera e compatta. L'unica cosa che su due piedi Francesco riuscì a visualizzare era una figura troppo minuta per essere quella di un uomo. Francesco invece era ben visibile e riconoscibile, e soprattutto aveva ancora la patta aperta e le mani occupate.
A poco più di un metro da lui, la figura proruppe in un rapido "ciao". La battuta era stata troppo essenziale per leggerci dentro il tono ironico, canzonatorio che si sarebbe aspettato vista la situazione, ma fu sufficiente per dare un volto e un nome alla proprietaria della voce. Fece appena in tempo a rispondere "ehi", che la figura gli passò a fianco e proseguì la corsa nella direzione opposta, senza neppure voltarsi indietro.

"Merda, che risposta del cazzo" - lo disse ad alta voce, non riuscendo a trattenere il pensiero - "perchè non ho mai la battuta pronta? Ma anche qualsiasi cosa meglio di uno stronzissimo ehi".
Ultima scrollata, accompagnata stavolta da un brivido che invece di procurargli piacere gli diede fastidio, e Francesco si tirò su la zip dei pantaloni. Poi si rimise in marcia a passo spedito, verso casa.
Quant'era che non la vedeva? Che non la incrociava? Come vivessero in due dimensioni parallele. Non ci pensava neanche più tanto, ormai. Però quando capitavano momenti come quello sentiva ancora una piccola fitta dentro, che partiva dalla pancia e lo prendeva alla gola, salvo poi dissolversi nel giro di qualche secondo, nonostante avesse da lungo tempo smesso di interrogarsi sui significati, sui perchè e sui per come dietro a ogni suo gesto, a ogni sua parola, detta durante e dopo. Energie sprecate, almeno questo l'aveva imparato. Stava cercando di capire un po' di più se stesso, ed era già tanta roba.
Ma poi perchè quei momenti capitavano sempre in delle occasioni così sfigate? Gli era venuto in mente una specie di proverbio zen, che diceva qualcosa del tipo che siamo sempre nel posto e nel tempo in cui dobbiamo essere, e agire di conseguenza. E comunque mai, ma proprio mai, che ne uscisse in modo brillante, da vero figo. Ci faceva sempre delle gran figure di merda. Mai che fosse riuscito a prendersi una rivincita come si deve. Neanche morale. Dov'era quella dannata legge della compensazione quando serviva? Esisteva una compensazione possibile? Un paio di idee a riguardo le aveva, cose che si sentiva di meritare. Forse però l'unica compensazione possibile a quello che aveva passato era proprio quello che aveva passato. O forse aveva avuto bisogno di convincersene, per tirare avanti. Sapere che gli era servito a qualcosa. E il karma? "Se ci fosse una raccolta punti-karma ne avrei messi da parte così tanti da vincere il premio più grosso" - pensava, percorrendo l'ultimo tratto di strada - "Peccato che succeda solo nei film, in quelli che ancora un po' non piacciono neppure a me".

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