domenica 27 aprile 2014

Che smalto indossavi?

Le mani. Dita lunghe, più lunghe di quel che ci si aspetterebbe. In fondo sei snella, minuta. Eppure. Affusolate. Polpastrelli larghi e piatti. Le unghie corte, curate, colorate. Ogni giorno un colore diverso. Colori densi, saturi, mai brillanti. Viola, bordeaux, verde. Mai una pellicina fuori posto, mai una screpolatura. Ogni tanto un graffio, quando il gatto ti prendeva di sorpresa. Non potevo non guardarle. Ti ci coprivi spesso il viso, non capivo cosa avessi da nascondere. Timida non eri. Forse lo facevi per far risaltare i tuoi occhi sfrontati, penetranti, maliziosi. Forse era tutta una tattica affinata in anni di battaglie, esperienze, dialoghi. Ti coprivi la bocca e il naso, mi mostravi il palmo. Bianchissimo. Le linee quasi impercettibili, forse ancora da scrivere. Nascondevi spesso una risata, magari una linguaccia, chi può dirlo. Non l’ho mai saputo. Quando parlavi però le spostavi sempre. Un’esplosione di denti bianchi come una strobo in discoteca. Quel momento in cui la luce spara e tutti per un attimo sembrano immobilizzati. Io mi immobilizzavo tutte le volte. In attesa delle tue parole. Ti facevi seria. Non seria-arrabbiata, o seria-triste, solo seria. Poco importa che fossimo nudi a letto, che avessimo giocato tutto il pomeriggio, che ci fossimo annusati, assaporati, mangiati. Non sapevo mai cosa sarebbe uscito dalla tua bocca. In quell’istante mi veniva sempre da pensare come il colore del tuo smalto ti vestisse alla perfezione, come non avessi bisogno di nient’altro per coprirti.

È domenica. Sono in treno. Piove. Scrosci d’acqua si abbattono sui finestrini. Eppure c’è tanta luce. Le nubi bianche riflettono l’aria bianca. Sono avvolto con tutti i passeggeri da un’atmosfera lattiginosa, che sfuma i contorni, come quei filtri che si applicano alle immagini grazie ai software di fotoelaborazione digitale. Provo a leggere un libro ma ogni due frasi mi sento gli occhi pesanti, le palpebre calano, mi immergo in un leggero dormiveglia. Nei momenti in cui sono desto riprendo dalla riga che ho appena abbandonato. Sempre la stessa. No, non è vero, potrei andare avanti a leggere se solo lo volessi, ma mi distraggo e guardo la ragazza seduta di fronte a me. Il libro non se ne avrà a male. L’ho notata qualche pagina prima, o meglio, ho notato le sue mani. Sono molto diverse dalle tue. Mani grandi, forti, ma pur sempre femminili. La carne sottesa a ogni falange guizza, esprime energia. Non so se siano muscoli allenabili, ma se lo sono lei ha trovato il modo. Anche lei ha le unghie curate, però lunghe, squadrate, quasi degli artigli. Non sembra una descrizione molto lusinghiera, ma ti garantisco che sono delle belle mani. Mi piace l’osso alla base del pollice, non so come si chiama, quella specie di sfera? Cilindro? Dodecaedro? Insomma quello che sporge prima della parte mobile del dito, alla base della falange. Neanche quello è come il tuo. Lo smalto però è lo stesso. Solo che non la veste come vestiva te. Se nel tuo caso era un costume da bagno olimpico, qua è poco più che un bikini. Si accorge che la guardo. Ricambia lo sguardo, ma il mio non lo trova mai perché non punta ai suoi occhi. Capisce. Si mette a cercare qualcosa nella borsetta, nasconde le mani. Non per imbarazzo, o almeno non credo, ma perché anche le mani sono una cosa privata, quanto il seno o il sesso. Le teniamo dolorosamente esposte, parlano di noi. Parlano sempre troppo.

Forse avrei dovuto ascoltarle. Mi sono fatto ammaliare da tutto il resto e le ho dimenticate. Quando mi hai salutato l’ultima volta, le tenevi in tasca. Io non ci ho fatto caso. Non fino ad adesso. Non lo so che smalto indossavi quel giorno. Non lo so cosa stavi per dirmi quando è arrivato il treno. Non ti sei coperta il viso prima di parlare. Mi hai detto solo “la prossima volta”.

Fuori dalla stazione. Ancora piove. Una tempesta tropicale si sta abbattendo sulla città. Sotto una pensilina aspetto che si dia una calmata. Sono tornato. È passato un po’ di tempo e non ho il coraggio di chiamarti. Vorrei parlare prima con le tue mani, vorrei che fossero loro a spiegarmi.

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